Sono, da molti anni, un lettore di poeti. Per mio godimento, ed esaltazione e consolazione; e anche per altrui diletto. Sono lettore pubblico e privato. Dotato di una voce corposa e modulata, ho scelto negli anni di fare l’oratore o, come alcuni dicono, il telepredicatore.

Ricordo, nel 1983, a una serata di presentazione di un libro ideato da Franco Maria Ricci per Giorgio Armani, lo stupore quasi infantile di Mario Soldati per queste insolite attitudini oratorie; e il compiacimento negativo di Giorgio Bocca che commentava: “Peccato, peccato che tu parli così bene in un periodo in cui parlare non serve più a niente. È un mezzo superato, oggi soltanto chi scrive esiste. Tu saresti andato bene in un’altra epoca”.
Dimenticava, il povero Bocca, la grande piazza della televisione che io avrei scoperto qualche anno dopo smentendolo clamorosamente.
E così ho tentato l’impossibile.
Ho detto e fatto in televisione quello che ho voluto: ho perfino spiegato quadri e letto con insistenza i poeti Montale, Baudelaire, Antonio Delfini e anche Wilcock, Whitman, Emily Dickinson, John Donne.
Ogni volta che li ho letti ho ricevuto insistenti richieste sui libri da cui avevo scelto i testi.
Così compiaciuto ed esaltato, sono arrivato a fare un disco di letture poetiche. Ho scelto quelle più tese e ricche di pensieri, non quelle facili e sentimentali. Ho preferito autori stranieri per annullare ogni ingombro di lingua letteraria.
Anche al più grande lettore rimane difficile affrontare e rendere emozione quotidiana la Gerusalemme liberata o L’Adone di Giovanni Battista Marino: grande poesia ormai indecifrabile affidata a una lingua che non si sente e non si parla più, quasi da tradurre, tanto è aulica e lontana.
E allora meglio partire da testi stranieri sapientemente “voltati” nella nostra lingua, con semplicità e immediatezza.
Così è capitato a tre grandi e sofisticatissimi poeti inglesi “metafisici” (che è quanto dire riflessivi e concettosi pur nel purissimo tema d’amore), trasportati nella lingua italiana del nostro tempo da due poeti colti e ingegnosi con perfetto senso del ritmo, delle pause, delle evoluzioni sintattiche: Eugenio Montale e Roberto Sanesi.
Colpito dalle loro traduzioni, le ho adattate e ritoccate per renderle il più possibile docili alle mie letture ad alta voce, seduttive, insinuanti.

Così nasce lo Sgarbi pubblico interprete di testi poetici, lo Sgarbi che proprio a quei poeti rivoluzionari che furono i metafisici inglesi conforma la sua esistenza e la sua vitalità.
Suoi amici e complici sono i purissimi e appassionati, algidi e infuocati, cuore e ragione: John Donne, Shakespeare e Andrew Marvell.
Leggere i poeti, interpretare i testi senza retorica in un “parlato semplice” significa opporsi alla tendenza di lasciare interpretare, come in un ghetto, con compiaciuta enfasi, la poesia all’impostata lettura dei lettori di professione. È importante che il testo rinasca spontaneo, rinasca originale e vivo attraverso il suo interprete. Questo è quanto mi sono proposto di dare ai lettori: la partecipazione, l’elaborazione del testo con opportuni ritocchi alle traduzioni. Più si fa propria la poesia, più la si rende viva per gli altri.
Molti pensano di poter scrivere senza conoscere la grande tradizione poetica sia italiana sia straniera; la poesia non nasce dal nulla, non nasce dalla spontaneità, non nasce dalla creatività libera, ma nasce da una conoscenza attenta di quello che è stato il passato, anche se il poeta vero vede quello che gli altri non vedono.

Nei poeti metafisici inglesi domina la metafora, con riferimenti e concetti molto simili. Vorrei che la mia interpretazione portasse a comunicare con immediatezza quello che il poeta ha immaginato, attraverso i propri sentimenti.
Questo vale per John Donne, per Shakespeare, per Marvell e per tutti gli altri.
Ho in ogni caso cercato di svecchiare il linguaggio, di renderlo attuale senza tradire il testo originale.
John Donne, il poeta che prediligo (al punto da contagiare l’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga), attraverso la sua poesia, ci dà una forza straordinaria, poiché accende i nostri sentimenti.
Ecco perché è giusto interpretarlo e farlo conoscere, affinché egli accresca la nostra vitalità, unico vero scopo della poesia. D’amore, di passione, di morte.

Vittorio Sgarbi


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